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La tassazione delle aree edificabili

 

Come gia' previsto per la "vecchia" ICI, anche per l'IMU le aree fabbricabili rientrano tra gli immobili soggetti all'imposta. Per "area fabbricabile" si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilita' effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennita' di espropriazione per pubblica utilita'. L'esatta individuazione delle aree edificabili, nonche' le modalita' di determinazione della base imponibile, tuttavia, hanno da sempre suscitato accese discussioni sia dottrinali sia, soprattutto, giurisprudenziali.

Di seguito si cerca di fare il punto sugli aspetti più interessanti e controversi, così come si sono delineati per l’ICI, ma ancora attuali anche per la nuova imposta.

Definizione di area fabbricabile

L’art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992 definisce come area fabbricabile l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base:

- agli strumenti urbanistici generali o attuativi;

- alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità.

Gli strumenti urbanistici generali e attuativi in base ai quali si può individuare l’area utilizzabile a scopo edificatorio sono i seguenti (legge 17 agosto 1942, n. 1150):

- piani territoriali di coordinamento: orientano e coordinano l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio;

- piani regolatori generali intercomunali: coordinano le direttive generali riguardanti l’assetto urbanistico di due o più comuni limitrofi;

- piani regolatori generali comunali: traducono le direttive generali in prescrizioni più precise con riferimento al territorio comunale;

- programmi di fabbricazione: sono elementari piani regolatori dei comuni minori;

- programmi pluriennali di attuazione: perseguono finalità sia di predeterminazione dell’assetto del territorio sia di esecuzione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione indicando le zone dove, per un arco temporale fissato tra i 3 e i 5 anni dovrà indirizzarsi lo sviluppo edilizio;

- piani particolareggiati di esecuzione e piani di lottizzazione: sono strumenti di attuazione dei paini regolatori generali, specificandone le destinazioni fino al dettaglio plani volumetrico.

I criteri di edificabilità in base all’esproprio per pubblica utilità, invece, sono oggetto di divergenze giurisprudenziali. Tra tutte, si segnala la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, 23 aprile 2001, n. 172, nella quale si afferma che un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale; la cosiddetta edificabilità “di fatto” rileva esclusivamente in via suppletiva - in carenza di strumenti urbanistici - ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo.

La certificazione sulla qualifica di area fabbricabile viene rilasciata dal Comune su cui insiste l’area, su richiesta del contribuente.

Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili (e quindi non rientrano nel concetto di “area fabbricabile”) i terreni sui quali persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali terreni ma solo se posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (art. 1, D.Lgs. n. 99/2004), iscritti nella previdenza agricola (art. 2, comma 1, lettera b, D.Lgs. n. 504/1992).

Va ribadito che soprattutto in ambito giurisprudenziale, non c’è uniformità di vedute sull’esatta individuazione del concetto di “area fabbricabile”.

In particolare, si sono “scontrate” due diverse interpretazioni:

- una più formalistica in base alla quale per aversi area edificabile è necessario che ci sia uno strumento urbanistico perfetto (che abbia ricevuto cioè tutte le approvazioni) e che ci siano anche gli strumenti attuativi che rendono l’area edificabile in concreto;

- l’altra meno formalistica basata sull’assunto che l’area è da considerare edificabile a fini dell’ICI per il fatto stesso di trovarsi inserita in uno strumento urbanistico, anche se poi non sono stati emanati gli strumenti di attuazione (per cui quell’area in concreto non può ancora essere utilizzata a fini edificatori).

Mentre la questione veniva rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione, è intervenuto il legislatore con l’art. 11-quaterdecies, comma 16, D.L. n. 203/2005 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 248 del 2 dicembre 2005), secondo il quale la norma ICI sopra riportata si interpreta nel senso che un’area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo.

Il legislatore ha, quindi, emanato una norma di interpretazione autentica che vale anche per il passato e per le questioni già sorte o che possono sorgere nel caso in cui il Comune formuli una pretesa che il proprietario contesta.

Tale norma dà ragione alla interpretazione meno formalistica, ma ha suscitato già una serie di perplessità e di commenti critici.

Successivamente, lo stesso legislatore ha emanato l’interpretazione autentica contenuta nell’art. 36, D.L. n. 223/2006.

Tale norma, in particolare, prevede che “ai fini dell’applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.

Le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate, quindi, con la sentenza 30 novembre 2006, n. 25506. In tale occasione è stato stabilito che un’area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo: in tal caso l’imposta deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo conto anche di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione.

Con la perdita della inedificabilità del suolo si apre, quindi, soltanto la porta alla valutabilità in concreto dello stesso, mentre in sede di valutazione, la minore o maggiore attualità e potenzialità della edificabilità potrà essere considerata ai fini di una corretta valutazione del valore venale delle stesse.

A questa sentenza ha fatto seguito la definitiva pronuncia della Corte Costituzionale che, con l’ordinanza 27 febbraio 2008, n. 41, ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sia dell’art. 11-quaterdecies, comma 16, D.L. n. 203/2005 sia dell’art. 36, comma 2, D.L. n. 223/2006.

I Giudici costituzionali, in particolare, confermando quanto già enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione, riconoscono al D.L. n. 223/2006 natura di interpretazione autentica dell’art. 2,comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 504/1992 recando l’art. 36 una disposizione compatibile con la formulazione letterale della normativa ICI.

Determinazione della base imponibile per le aree fabbricabili

Passando alla determinazione della base imponibile delle aree fabbricabili, si evidenzia che sono ancora valide, anche se non in tutto e per tutto, le vecchie regole ICI (infatti le nuove norme rimandano all’art. 5, comma 5 D.Lgs. n. 504/1992).

Pertanto, il valore è costituito da quello venale in comune commercio determinato avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità , alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.

Va però segnalato che in relazione alla possibilità, per i comuni, di intervenire, con regolamento, sulle aree fabbricabili, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 16/2012, si sono venute a creare non poche perplessità .

Infatti, in base a quanto previsto dall’art. 59, comma 1, lettera g), D.Lgs. n. 446/1997 (norma non esplicitamente abrogata dalle nuove disposizioni), il comune, con apposito regolamento, può determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza di contenzioso.

In altre parole, il comune al fine di ridurre l’insorgenza del contenzioso, potrebbe aver stabilito, con proprio regolamento, i valori venali delle aree fabbricabili, così da ritenere congruo il valore dichiarato dal contribuente in misura non inferiore a quella fissata nel regolamento.

Va però segnalato che, con le modifiche previste dal D.L. n. 16/2012, è stato eliminato il rimando all’art. 59, sopra citato, contenuto nell’art. 14, comma 6, D.Lgs. n. 23/2011.

Pertanto, allo stato attuale, la disposizione prevista nell’art. 59, comma 1, lettera g), risulta non applicabile per l’IMU.

In linea teorica, il potere regolamentare di cui si discute potrebbe rientrare nel più ampio margine previsto dall’art. 52, D.Lgs. n. 446/1997 (norma ancora in vigore) secondo cui i comuni possono disciplinare le proprie entrate tributarie (salvo che per quanto riguarda l’individuazione e la definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima).

In realtà occorre evidenziare che la potestà regolamentare dei comuni non può travalicare i principi generali dell’ordinamento tributario tra cui quelli dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria e dell’irrinunciabilità del prelievo tributario.

In base a tali considerazioni si potrebbe supporre (il condizionale è d’obbligo in mancanza di una presa di posizione ufficiale) che i comuni possano ancora fissare i valori presunti delle aree edificabili ai fini IMU, ma, in assenza di una specifica norma di legge, è a loro precluso regolamentare l’attività di accertamento nei casi in cui la base imponibile dichiarata dal contribuente, anche se in linea con i parametri comunali, è inferiore a quella effettiva di mercato ai sensi dell’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 504/1992.

10.06.2012